
Doomismo climatico: cos’è e perché non fa bene all’ambiente
15 febbraio, 2023
di Alice De Luca


Una volta forse sarebbe stato chiamato semplicemente “pessimista”, mentre oggi esiste un nome specifico per chi, nella lotta al cambiamento climatico, ha perso ogni speranza: “doomer”. Il doomer è convinto che ogni sforzo per migliorare le condizioni del nostro pianeta sia inutile perché secondo lui sarebbe ormai troppo tardi per evitare la catastrofe ambientale. Il termine deriva dall’inglese “doom”, cioè “destino” o “rovina”, ed indica appunto un atteggiamento disfattista, la rassegnazione di chi crede che non ci sia più nulla da fare per invertire la rotta del riscaldamento globale che ci porterà presto all’estinzione di massa. Il doomismo non è riconosciuto su base scientifica, ma è un modo di pensare non propositivo che si è diffuso negli ultimi anni, soprattutto attraverso i social.
Gli effetti negativi del doomismo
Nonostante non si tratti di una condizione psicologica scientificamente riconosciuta come problematica, il doomismo può avere effetti negativi prima di tutto sulla serenità dell’individuo. Il doomer infatti può arrivare a prendere decisioni drastiche sulla propria vita, tanto da ritenere inutile programmare il suo futuro o tanto da decidere di non avere figli per paura del loro destino. Alcune persone arrivano anche a preparare rifugi e mettere da parte scorte di cibo per sopravvivere a quella che credono un’imminente catastrofe. Ma l’atteggiamento dei doomer si ripercuote negativamente anche sul più grande ecosistema mondiale. Il doomismo, infatti, è l’esatto opposto del negazionismo climatico, ma gli effetti dei due atteggiamenti sono proprio gli stessi. Se da un lato non si fa nulla perché si crede che il problema ambientale non esista, dall’altro si rinuncia ad ogni buona azione per il pianeta perché si crede che il problema sia tanto presente che non sia più possibile risolverlo.
Perché il doomismo non andrebbe incoraggiato
Proprio perché ha come conseguenza l’inazione e la rassegnazione, il doomismo non può che essere un pessimo modo di reagire alla minaccia del cambiamento climatico. Spesso ad incentivare questo atteggiamento sono i dati allarmanti e preoccupanti dati dagli esperti e usati soprattutto per sottolineare l’urgenza di mettere in atto nuove politiche ambientali ai piani alti e risvegliare una coscienza ecologica ai piani bassi. Accanto a queste informazioni, però, gli scienziati ribadiscono spesso che, per quanto le scadenze siano stringenti, c’è ancora un margine di tempo per rimediare ai danni fatti.
Un futuro migliore per il pianeta è realmente possibile
L’iniziativa Copernicus, nata dalla collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e la Commissione Europea, monitora il riscaldamento globale su una pagina web appositamente creata. Il grafico mostra anche le proiezioni future, calcolate sulla base dei dati rilevati e costantemente aggiornati. In particolare il sistema riesce a prevedere quando, continuando con i trend registrati, le temperature globali raggiungeranno il limite di +1,5°C rispetto a quelle preindustriali. Ad esempio l’ultima registrazione, fatta a dicembre 2022, riportava un aumento delle temperature globali pari a +1,21°C. Il sistema ha calcolato che procedendo con questa media si arriverà alla soglia di 1,5°C nel 2035. Scorrendo la barra in basso si noterà che posizionando il cursore su anni passati, quando le temperature erano più basse, il raggiungimento del limite si allontana sempre di più.
Questo suggerisce che invertendo i trend di aumento delle temperature, soprattutto riducendo i gas serra, il “momento zero” sarà sempre più remoto. Le medie sul lungo periodo non sono positive, ma incoraggia il fatto che nell’ultimo anno, da marzo 2022, le temperature si sono sempre più abbassate, riuscendo a spostare il raggiungimento del limite da novembre 2033 a febbraio 2035. Siamo dunque su una rotta di miglioramento, per quanto ancora di breve respiro.
Il confine tra sensibilizzazione climatica, condanna del doomismo e negazionismo è delicato, tanto che molti scienziati che fanno informazione sui temi climatici sono stati accusati di alimentare una retorica disfattista, e laddove hanno smentito il disfattismo sono stati tacciati di negazionismo. Basta guardare i tweet di Peter Kalmus, scienziato della NASA, che scrive: “Sensibilizzare sul cambiamento climatico non significa fare doomismo. Come società dovremmo essere preoccupati. La paura porta all’azione. La paura è ciò che produce quella spinta al di fuori dello status quo”.
Once again: Warning about climate impacts is not “doomism.” It’s an expression of the urgent need to act in order to avoid as many impacts as possible. As a society we SHOULD be afraid. Fear leads to action. Fear is what provides that kick out of the status quo.
— Peter Kalmus (@ClimateHuman) September 11, 2022
Dati come quelli di Copernicus dimostrano infine come prendere determinate decisioni personali e politiche porti effettivamente un miglioramento nella salute generale del pianeta. L’incisività di questo progresso dipende soprattutto dall’impegno dei governi e degli individui ma in ogni caso rimane in gran parte nelle nostre mani. Per questo le prospettive disfattiste di chi non spera in un’inversione di rotta sono da biasimare, anche perché non supportate da nessuna base scientifica. Sui social si è coniato un nuovo modo per controbattere all’assurdità del doomismo, rispondendo semplicemente “ok doomer”.
Flowe, il conto che si prende cura del Pianeta
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