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IMPACT

Greenwashing: cos’è e come scoprire se l’ecologismo è solo di facciata

01 febbraio 2023

di Alice De Luca

Fabbrica dall'alto

Il sostenibile che va di moda

Sempre di più sono i marchi e le aziende che puntano su una comunicazione del prodotto basata sul rispetto dell’ambiente. Da un lato questo è un indizio positivo: le campagne improntate alla sostenibilità sono la risposta a una domanda di responsabilità da parte del cliente. Questo potrebbe suggerire che il consumatore si stia lentamente sensibilizzando a questi temi, almeno nelle intenzioni.

Greenwashing: significato e definizione

D’altro canto, però, il rischio che si corre è che le aziende puntino sulla sostenibilità solo come strategia di marketing, senza che questa scelta sia sostenuta da un vero ripensamento sul ciclo di vita dei propri prodotti, che va dalla produzione allo smaltimento. Visto l’aumento dell’attenzione sui temi della responsabilità ambientale ed etica, una merce viene pubblicizzata come sostenibile anche se non lo è o nel migliore dei casi lo è solo per aspetti marginali. La vendita ha successo perché si convince il cliente della bontà del prodotto che sta acquistando attraverso una serie di informazioni fuorvianti, fraintendibili o parziali. Questa pratica prende il nome di greenwashing. Si tratta di un ecologismo solo di facciata: un’azienda che ne fa uso cerca di presentarsi come attenta al proprio impatto ambientale e sociale, quando invece nasconde aspetti inquinanti della sua filiera o non è trasparente sulle condizioni dei suoi lavoratori.

Tips and tricks per riconoscere ed evitare il greenwashing

La grande trappola del greenwashing sta nel fatto che è una pratica subdola, che il consumatore può individuare e perciò evitare solo se approfondisce le affermazioni delle aziende informandosi autonomamente. A questo scopo esistono siti e applicazioni che cercano di rendere conto della trasparenza dei vari brand nelle fasi di produzione dei loro prodotti e della loro sostenibilità. Tuttavia la soluzione migliore è sempre quella di cercare in autonomia sui siti delle aziende i dati di cui abbiamo bisogno, per poter appurare il loro grado di responsabilità ambientale ed etica.

Le informazioni da ricercare variano in base al tipo di prodotto, ma in generale ci sono dei campanelli d’allarme superficiali a cui si può prestare attenzione nella comunicazione dei brand:

  1. Vaghezza dei termini con cui un prodotto viene descritto come sostenibile: “green”, “rispettoso dell’ambiente”, “naturale”, “eco-friendly”. Parole piuttosto generiche se prive di una spiegazione ulteriore.
  2. La campagna basa la sostenibilità del prodotto su uno solo dei suoi aspetti di produzione o dei suoi materiali, trascurandone invece altri ugualmente importanti ma non altrettanto sostenibili. In questo modo l’azienda sembra vendere un prodotto totalmente responsabile, quando invece lo è solo marginalmente e nasconde processi o materiali inquinanti o non etici.
  3. Fornire informazioni non rilevanti ma presentate come tali. Per esempio dichiarare l’assenza, nel proprio prodotto, di sostanze chimiche che sono già vietate dalla legge. Oppure, nel caso degli alimenti, affermare di non utilizzare ingredienti poco sani che in realtà non sono richiesti per la loro preparazione.
  4. Definire “green” o “sostenibile” un prodotto che non lo è per sua natura.
Interno di un'azienda

A cosa fare attenzione se si vuole andare a fondo

Se però si vuole condurre una ricerca più approfondita, che non si limiti al primo impatto con l’immagine del brand, gli indizi a cui prestare attenzione sono altri:

  1. La sezione del sito dedicata al brand: indagarne la storia e i valori per capire se l’ecologia è un aspetto della sua identità o piuttosto una strategia di marketing.
  2. Certificazioni di terzi su sostenibilità ambientale ed etica. Si tratta però di risorse costose che potrebbe essere normale non trovare, per esempio, in siti di piccoli brand e artigiani.
  3. La trasparenza nella tracciabilità della filiera: dove, come e da chi è realizzato il prodotto in tutte le sue fasi di produzione. Un brand che si dichiara responsabile dovrebbe rendere queste informazioni facilmente accessibili al consumatore. La tracciabilità di per sé, però, non basta ad assicurare responsabilità di un brand, ma è grazie a questa che si può controllare la sostenibilità della produzione.
  4. Approfondire la qualità e l’origine delle materie prime. Nel caso di vestiti, ad esempio, controllare la composizione del tessuto e assicurarsi che tutti i materiali di cui è fatto siano sostenibili (bisognerà informarsi su ciascuno di questi) e che il mix di fibre sia riciclabile.
Alberi e campi

Il consumatore deve fare la sua parte

Per essere sicuri della responsabilità di un’azienda serve quindi un’indagine che richiede, di base, una certa forza di volontà da parte del consumatore. La buona notizia, però, è che questa abilità investigativa si raffina con l’esercizio e di conseguenza si velocizza. Con il tempo si capisce sempre meglio di cosa diffidare e si scoprono, invece, brand più responsabili. È un processo di autodidattica che spinge anche a riflettere sui nostri acquisti, non solo sulla natura del prodotto ma sul bisogno stesso che ne abbiamo e sull’uso che ne faremo. L’utilizzo del consumatore è infatti una parte fondamentale della vita di un oggetto, che in parte diventa sostenibile se sostenibile è l’utilizzo che ne facciamo, usandolo bene e gettandolo via il più tardi possibile. Alternative sostenibili esistono, a partire dalla cosmesi, alla moda, fino ad arrivare a ciò che acquistiamo al supermercato, basta solo prestare maggiore attenzione nel momento in cui optiamo per un brand, un prodotto piuttosto che un altro.


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Fonti:

Greenwashing: l’eco-friendly al vaglio dell’autorità garante della concorrenza e del mercato (diritto.it) – Greenwashing: come il mondo delle imprese inganna il consumatore

https://sustainability.usask.ca/documents/Six_Sins_of_Greenwashing_nov2007.pdf%20-%20https://www.accc.gov.au/system/files/Green%20marketing%20and%20the%20ACL.pdf